Albert
Einstein diceva: “la creatività nasce
dall'ansia, come il giorno nasce dalla notte oscura, è nella crisi che nasce
l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie, chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato.”
La formula
vincente per l’economia italiana? Probabilmente è la seguente:
CRESCITA = INNOVAZIONE + RETI. Bisogna considerare che:
INNOVAZIONE: in
Italia non si investe in Ricerca e Sviluppo, è questo il problema di fondo. Secondo
i dati disponibili, a fine dicembre scorso, non solo il livello complessivo di
spesa che l'Italia impegna in ricerca e sviluppo - circa l'1,3% del prodotto
interno lordo - non aumenta. Ma nel 2011 è addirittura in calo. Resta dunque
lontanissima la pattuglia dei "leader" Ue dell'innovazione formata da
Danimarca, Germania e Finlandia, dove si è già raggiunto l'obiettivo di avere
investimenti in ricerca pari al 3% del Pil.Le imprese investono oltre 10
miliardi, ma - e qui è l'altra debolezza italiana - ben il 70,4% degli
investimenti arriva dalle grandi imprese. Mentre resta bassa l'incidenza delle
medie (20,1%) e delle piccole (9,4%).
RETI: le
collaborazioni e le sinergie, soprattutto dove il tessuto industriale è
costituito da PMI, sono la strada obbligata per lo sviluppo dell’innovazione e
la crescita della competitività delle imprese, dei territori e delle comunità. La connessione e
la condivisione devono essere mirate a sfruttare le complementarietà e le
sinergie nel perseguire obiettivi comuni e devono assumersi il ruolo di
acceleratore di diffusione di quelle prassi strategiche che per molte imprese
si sono rivelate vincenti.
Tra i
tanti, uno in particolare è l’aspetto fondamentale che identifica le imprese
dotate dei mezzi umani e finanziari che sono in grado di garantire uno sviluppo
sostenibile: l’ottimizzazione dei costi. È proprio in questocampo che la guida
di un professionista esterno al sistema azienda può fare la differenza tra la vita e la morte.
La riduzione dei costi è sicuramente una
tappa obbligata per le imprese che vogliano sopravvivere al periodo che stiamo
vivendo. La riduzione della quale parliamo non può e non deve essere
forfettaria su tutta l’azienda, bensì deve essere approcciata con metodo
certosino e sicuramente guidata da criteri di proporzionalità. Ecco perché, in
quest’ottica, si rende necessario un check-up aziendale utile a fare emergere e
ridurre al massimo gli sprechi, e quindi i costi inutili, attraverso una
politica di Lean management spinta e
ben coordinata. In aggiunta alla lottaagli
sprechi, la riduzione dei costi deve essere inquadrata anche come miglioramento delle performance che, in
termini produttivi o materiali si può tradurre ad esempio con minori sprechi di
materie prime, ma che sul lato umano vuol dire mettere i dipendenti nelle
condizioni idonee affinché siano produttivi
e,dalpunto di vista manageriale essere sempre pronti a raccogliere le
opportunità che il mercato offre (non è forse uno spreco perdere un'opportunità
commerciale?).
Purtroppo è
divenuta impresa ardua per qualsiasi azienda quella di incrementare i profitti
aumentando le quantità di prodotto/servizio vendute.È proprio questo il motivo
per il qualerisultaimpossibile prescindere da una politica di incremento del
margine commerciale che vada non nel senso di un aumento dei prezzi del
prodotto/servizio, bensì in quello di una riduzione dei costi di produzione.
In
quest’ottica, assume una importanza cruciale il ruolo del consulente aziendale.
Il mercato stesso lo evidenzia; le società di consulenza sono circa 17.000, di
dimensioni piccole, medie, grandi e multinazionali ed operano nei più svariati
settori, con un fatturato complessivo che nel corso del 2011 ha registrato un
+5% (circa 3.187.000.000 di euro).
Esiste la consulenza sulla lean production, quella relativa al marketing
strategico ed operativo, la consulenza per la comunicazione e l'immagine d'impresa,
sulla gestione e lo sviluppo delle risorse umane, ecc. C'è ancora la consulenza
informatica, legale, amministrativa e si potrebbe continuare a lungo senza
riuscire mai a terminare un elenco di settori con caratteristiche e competenze
specifiche. Eppure non sempre è stato così; c'è stato un periodo forse neanche
troppo lontano nel quale certe tipologie di attività venivano gestite
all'interno dell'azienda, senza che ci fosse qualcuno dall'esterno che venisse
a dire come fare per migliorare alcuni aspetti del proprio lavoro. Cosa è
cambiato quindi nel tempo? Cosa ha portato gli imprenditori a ricercare l'aiuto
di soggetti esterni all'azienda? La spiegazione non è poi così difficile; in un
mercato caratterizzato da dinamiche interne sempre mutevoli e nel quale se non
sei sempre al top rischi di essere travolto, diventa indispensabile avere a propria disposizione delle competenze
specifiche che consentano di ottimizzare, in ogni aspetto della realtà
organizzativa, le risorse a disposizione. Ecco quindi che il punto di vista
di un professionista esterno che riesca a mettere in piedi un sistema
strutturato di controlli e analisi, diventa essenziale per permettere
l’incremento della profittabilità.Il consulente diventa quindi protagonista in
quanto venditore di competenze e di
knowhow specifico non presente in azienda.
A questo
punto però diventa centrale porsi un interrogativo: chi è il consulente? Qual è
effettivamente il suo ruolo? Abbiamo già detto che è certamente una persona con
competenze specifiche, tuttavia oggi ci sono tanti professionisti con numerose
competenze acquisite nei più svariati contesti di studio e di lavoro. Quindi
perché io imprenditore dovrei scegliere un consulente piuttosto che un altro?
Dove va ad inserirsi un differenziale (almeno percepito) che mi induce verso
una scelta? La realtà è che il consulente, per quanto venda le sue competenze,
deve essere capace di non vendere (in apparenza). Il focus di chi si occupa di
consulenza non è quello di dire "io
posso fare questo per te" bensì è quello di chiedersi "cosa posso fare per te?". Spesso si
incontrano persone troppo concentrate su se stesse e su quello che possono
offrire senza indagare le reali
necessità dell'interlocutore che si ha di fronte.
Ecco quindi
che il consulente deve diventare una persona di fiducia, qualcuno con il quale
condividere le dinamiche aziendali per capire se effettivamente ci sono i
presupposti per creare una relazione stabile
che induca le parti a intraprendere un percorso che non è più prettamente
commerciale (io vendo, tu compri), bensì è una relazione tesa alla reciproca crescita, con l'idea che se c'è una
nuova sfida da affrontare, imprenditore e consulente saranno a fianco e in
prima linea nella ricerca del successo. Ed è proprio il successo che diventa
fondamentale in un contesto ad alto valore competitivo; portare al successo può
voler dire tante cose. Il successo è legato agli obiettivi che ci si pone, per
questa ragione anche semplicemente riuscire ad essere realisti nel determinare
i propri step di crescita rappresenta
la prima grande sfida da affrontare ed è il punto di partenza di un viaggio che
può non avere fine. Riuscire ad instaurare una relazione duratura nel tempo,
basata non soltanto sul confronto costi/opportunità, bensì sulla consapevolezza
che si sono raggiunti alcuni risultati e che insieme si vuole continuare a crescere (pur sapendo che si può
sempre cadere), vuol dire che il consulente ha saputo, insieme all'imprenditore,
creare un dialogo costruttivo basato sul confronto aperto e trasparente, non
vincolato da parametri di tipo economico (o almeno non nella sostanza) ma
amplificato dalla voglia di costruire
insieme qualcosa di buono per entrambi. È questo il ruolo del consulente,
un ruolo che porta con se diversi mal di
pancia interni ed esterni all'attività consulenziale ma capaci nel contempo
di dare grande soddisfazione nel veder crescere le imprese e le persone al loro
interno.
Il consulente ha oggi un ruolo strategico
per ogni impresa guidata da un imprenditore coraggioso che non ha paura di
mettersi in gioco con una relazione utile
a colmare un gap di competenze che,
proprio nella logica dell'ottimizzazione delle risorse, inevitabilmente non possono
esistere all'interno della sua azienda in quel preciso momento. Tuttavia il
consulente deve fare attenzione a non diventare vittima di se stesso. Il
rischio è che nel cercare di dare supporto alle aziende clienti non si dia
supporto a se stessi, dimenticando o ignorando l'importanza dell'aggiornamento professionale
e della ricerca continua. Il consulente che si fermerà a specchiarsi davanti
alle proprie competenze sarà colui che si allontanerà dall'idea nobile di
consulenza e che sul mercato sarà destinato a lasciare il passo ai nuovi e più
affamati guru della consulenza aziendale.
A cura di Gianluca Imbriani e Luca Presta
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